ripensare il comune

Qualche spunto dagli eventi contemporanei per ragionare di ciò che è Comune.

  • Bolsonaro dichiara all’ Onu che l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità
  • Immediatamente dopo la conferenza sul clima, il presidente americano Trump dichiara – sempre all’Onu che “il futuro non appartiene ai globalisti, ma ai patrioti”
  • Dopo l’ambigua definizione da parte della Presidentessa della Commissione Europea von der Leyen di un nuovo incarico per gestire la questione migrante in relazione alla supposta difesa dello ‘stile di vita europeo’ (??) il parlamento europeo vota una risoluzione che equipara comunismo e fascismo.

Parto da quest’ultima considerazione – certamente ogni ideologizzazione che sfocia nel totalitarismo parte dall’idea della difesa del bene. Ogni idea di bene, anche la più pura, ideologizzandosi a partire da difese paranoidi (legate a una pulsione di autoconservazione) può sfociare nel peggio. In nome di Cristo o Maometto nella storia si sono bruciati eretici, dichiarate crociate e guerre di religione, torturati dissidenti. Malgrado i messaggi del cristianesimo o dell’Islam non fossero intrinsecamente perversi o paranoici – anzi  tendessero all’universalismo e all’inclusione! –  Ma l’idea di bene può essere pervertita nel momento in cui genera esclusione a partire da un deposito non elaborato di risentimento, cioè attingendo a lutti non elaborati, rifiutando la condivisione della vulnerabilità che ci accomuna. E tuttavia il messaggio originale aveva a cuore il bene comune in senso ampio. C’è dunque una differenza di fondo anche tra comunismo e fascismo: nel caso del primo la tensione ideale (forse troppo ideale come aveva ben visto Benjamin immaginando un impotente ‘angelo della storia’), aspira alla solidarietà, alla giustizia sociale, all’emancipazione per tutti a prescindere dall’appartenenza nazionale, all’emancipazione dalle disuguaglianze, dalla colonizzazione e dal potere che deriva dalla capitalizzazione del lavoro altrui.  Non che un’idea giusta di per sé modifichi la tendenza umana alla prevaricazione, a innamorarsi del potere! Ma nel caso del nazi-fascismo vi è una diversa idea di bene – ‘bene’, sì ma come il ‘bene’ del familismo indissolubile in cui l’idea di un vincolo da tutelare a tutti i costi ‘contro’ tutti e tutto implica una profonda inautenticià dell’amore (e può sfociare nel femminicidio). In altre parole il legame si costruisce sempre sul possesso, sull’esclusione e sul dominio. In un universo dominato dalla forza cieca, diceva il credo nazista, è la forza che ci costituisce e per difendere la razza, la nazione, lo Stato, la forza cieca deve schiacciare ogni vulnerabilità, ogni forma estranea a ciò che si ritiene di dover difendere, terra e sangue.

1 e 2. Quanto alle prime due notizie viene veramente in mente quanto dice Amitav Gosh ne ‘La grande cecità’ e cioè che la macchina militare americana – consapevole che ridurre davvero le emissioni comporterebbe un cambiamento radicale – e inaccettabile – nello ‘stile di vita’ americano (e non solo) – ha allertato il mondo a uno scenario ambientale catastrofico reputato dall’intelligence Usa ‘ineluttabile’. Di fronte a questo scenario la difesa locale della forma di governo implica un ritorno a forme di competizione commerciale più antagoniste tra nazioni per tentare di fare in modo che il mondo si divida tra Sovrani, Salvati e Sommersi. Chi siano i sovrani è abbastanza ovvio, gli interessi irrinunciabili dell’accumulazione e del profitto a breve termine in un complesso intreccio tra interessi locali e transnazionali in cui il gioco della guerra commerciale può anche trovare il suo posto, ma soprattutto essere uno dei puntelli della propaganda rinnovata della forza escludente. Come vendere allora l’idea di ‘salvezza’? Quale farmaco dare in pasto a moltitudini di occidentali impoveriti che si troveranno di fronte alla catastrofe climatica e a milioni di rifugiati se non la supposta panacea dei muri, dei fili spinati, dei campi di concentramento e sopratutto del veleno identitario che esalta, alimenta e si alimenta di quell’inesauribile deposito di risentimento che i popoli del privilegio occidentale si illudono di poter scaricare contro chi arrivando dichiara che il re è nudo, che il capitalismo ha fallito e per altro obbligandoci a guardare a lutti e ferite storiche mai elaborate. Per altro se la catastrofe climatica è ineluttabile, come non preparare ‘i popoli’ sin da ora ad escludere i sommersi che minaccerebbero una qualità di vita e di servizi sempre più impoverita dall’avidità neoliberista e in un ambiente sempre più degradato. Tale farmaco velenoso rivendica il diritto a una supposta buona vita incattivita nel disdegno anestetizzato per chi nel mare fin da ora muore.

Nasce tuttavia in molti proprio in reazione a tutto ciò l’esigenza di ridisegnare, ripensare l’idea di comune e dei suoi usi e milioni di giovanissimi lo percepiscono in modo essenziale, rapidissimo, come un’evidenza, così come è evidenza per loro essere nativi digitali. L’ambiente è un ineludibile tutto-mondo e così la nostra comune vulnerabilità. La clinica dell’antropocene non può essere disgiunta da nessun’altra questione per ripensare oggi il comune, l’uso degli spazi, del tempo, del lavoro, di ciò che nel desiderio e nella partecipazione ci connette alla realtà e rigenera spazi di resistenza civile e affettiva in un mondo impoverito.