Ho tradotto buona parte di un recente articolo di Judith Butler sulla London Review of Books che a partire dalla lucidissima analisi della struttura maniacale di Trump traccia i lineamenti di un sintomo collettivo contemporaneo che tuttavia risuona con ciò che nella storia è stato rovinoso e che riconosciamo anche in molte forme della politica italiana. Già il titolo del suo nuovo libro in uscita in inglese nel 2020 “La forza della non violenza” ci conforta nell’idea di una clinica della crisi da contrapporre al farmaco velenoso delle politiche dell’inimicizia.

Genio o Suicida
Judith Butler
Donald Trump vorrebbe farci credere che il suo comportamento e il suo disprezzo per la legge vanno più che bene anzi sono perfetti e che la richiesta di impeachment sia una specie di colpo di stato. E che rifarebbe tutto daccapo. (…) [Alcuni esperti] dicono che tutto ciò rappresenta una forma di follia e si chiedono se Trump stia mettendo in atto una sorta di suicidio pubblico oppure stia dimostrando una sorta di geniale attitudine alla sopravvivenza. Mi chiedo se queste due posizioni siano in alternativa l’una con l’altra.
Siamo entrati in una sorta di Paese delle Meraviglie psicoanalitico. Generalmente si ritiene che gli uomini politici stiano alla larga dalla prospettiva di essere svergognati per un qualche comportamento illegale. Invece Trump rivendica tutto ciò che fa senza dimostrare alcun pentimento ma attraverso l’esibizione esuberante nella sua spudoratezza. Alcuni commentatori suggeriscono che tegli stia cercando di anestetizzare il pubblico condizionandolo all’indifferenza nei confronti dei suoi comportamenti illeciti ovvero di normalizzare le sue azioni, ma ciò non ci permette di dare una risposta all’alternativa: genialità o suicidio? Un motivo per cui la psicoanalisi non è mai stata importante quanto oggi è che siamo costretti a prendere in considerazione azioni che potrebbero essere suicide e/o strumenti di trionfale sopravvivenza. Vien da chiedersi se nell’arena politica contemporanea non siano in gioco entrambe le cose. Come si concatenano suicidio e sopravvivenza in quel campo psichico che chiamiamo Trump? Può darsi che egli ritenga che una confessione spudorata normalizzi i suoi crimini e renda possibile il suo trionfo in un mondo in cui legge e crimine sono diventati fatalmente confusi. Ma non basta. Sembra piuttosto che Trump consideri la legalità e il giuramento prestato come forme di debolezza, convinto com’è che solo coloro che eludono la legge (ignorando le richieste di rendere pubblica la propria posizione fiscale, ignorando i vincoli costituzionali sul potere esecutivo) sono abbastanza intelligenti e potenti da prevalere. Egli sfrutta certamente anche l’ammirazione entusiastica di una base elettorale che ammira quanti hanno lo stomaco di prendersi gioco della legge: questi criminali romantici sono icone per coloro che si eccitano alla fantasia di vivere al di sopra e al di fuori della legge senza inibizione o vergogna.
Quando i commentatori parlano del desiderio suicidale di Trump intuiscono qualcosa anche se forse un po’ diverso da ciò che immaginano. La pulsione di morte, per Freud, si manifesta attraverso azioni caratterizzate da ripetizione compulsiva e dalla spinta alla distruzione. Sebbene possa essere collegata al piacere o all’eccitazione, non è governata dalla logica del desiderio. Le azioni ripetitive che non sono guidate dal desiderio possono assumere diversi aspetti specifici: accelerare il degrado dell’organismo umano nel tentativo di tornare all’indifferenziazione che precede la vita individuata; l’incubo della ripetizione di materiale traumatico senza prospettive evolutive; l’esternalizzazione della distruttività attraverso un comportamento potenzialmente mortifero. La pulsione di morte procede per vie traverse, ed è fondamentalmente opportunistica: può essere identificata solo attraverso i fenomeni emergenti che cavalca nel loro sviluppo. Può anche essere sotteraneamente all’opera in momenti di desiderio radicale, di piacere, e di apparente vitalismo, quanto in momenti di trionfalismo dimostrativo del proprio potere. O in stati di estrema convinzione. Solo più tardi, semmai, arriva l’improvvisa realizzazione che ciò che sembrava generare potere ed eccitazione era in realtà al servizio di uno scopo più distruttivo.

Non è necessario ragionare sull’infanzia di Trump, o accettare la nozione biologica di una pulsione di morte per riconoscere nel suo comportamento pubblico una spinta a farsi fuori o a far fuori quel mondo che non gli permette di fare quello che vuole.
La spudoratezza è il vettore attraverso il quale opera la pulione di morte. Senza un sentimento di vergogna le accuse levate contro di lui non funzionan, si indeboliscono sempre più e il loro eco nella sfera pubblica si affievolisce. Allo stesso tempo diventa evidente che il rifiutoripetuto e compulsivo di Trump di cedere alla vergogna e al rifiuto dimostra come quanto questi fantasmi siano per lui pericolosi. Egli appare come qualcuno il cui obiettivo principale è dimostrare che rimane orgoglioso, trionfante e innocente a fronte di ogni accusa di incapacità, criminalità e condotta non etica; la legge non dovrà avere potere su di lui.
Ma quella medaglia ha un’altra faccia. Il potere di Trump come trasgressore della legge si appoggia in realtà alla persistenza della legge e se egli riuscisse a distruggere ogni sentimento di legalità cancellando la distinzione tra azioni legali lecite e azioni criminali il suo potere svanirebbe. In altre parole, egli ha bisogno della legge per diventare il trasgressore monomaniacale che vuole essere. E nella misura in cui egli ha bisogno bisogno della legge la riproduce come condizione essenziale per il suo trionfalismo spudorato e spericolato.

Eppure anche a questa svolta dialettica va aggiunto qualcosa. Fare appello alla legge e ai crimini dei suoi nemici è una delle tattiche favorite di Trump: conosce la sua efficacia. E così continua a incoraggiare i suoi sostenitori a cantare in coro ‘Imprigionatela!’ – il riferimento è a Hillary Clinton. E lo abbiamo sentito dichiarare che Joe Bieden meriti la sedia elettrica. I centri di detenzione alla frontiera meridionale degli Stati Uniti sono un dispositivo che dà forma a una realizzazione criminale e mortifera del potere legale. Come noto Trump aveva dichiarato che egli avrebbe potuto uccidere qualcuno nel mezzo della Fifth Avenue e vincere ugualmente le elezioni.
L’immunità dalla legge è diventata la definizione stessa di potere, E così la perdita di immunità rappresenterebbe il suo tracollo. Che la sua convinzione sia che solo coloro che riescono a sfuggire alla legge sopravvivono è dimostrato dal suo appello alla Cina di investigare i Bidens è una ripetizione retorica del crimine di cui è stato accusato per l’Ucraina. Eppure sebbene il potere apparente di Trump si appoggi alla sua volontà di agire malgrado e contro la legge, la legge, seppure ritardo, ora si sveglia soll chiedendogli di consegnare atti e registrazioni, chiedendogli di render conto delle sue responsabilità. Rifiutando di riconoscere il potere che la legge ha su di lui Trump si sta preparando il terreno per diventare egli stesso il bersaglio di quello slogan cantato da lui stesso coniato: “Imprigionatelo!”
Naturalmente, la sopravvivenza di Tramp è dipesa da un esercito di avvocati che hanno seguito le sue direttive in tribunale ma questo è solo uno dei paradossi meno vistosi del suo trafficare con la legge. Forse quello più importante è emerso più chiaramente negli ultimi giorni di fronte alla minaccia dell’impeachment. I media ci dicono che Trump sta attivamente accumulando prove contro sé stesso rifiutando persino di consegnare ufficialmente i documenti legalmente richiesti. Sta sulla Fifth Avenue ma le pistole sono puntate sul nemico, su sé stesso o su entrambi? Se finalmente venisse fermato e scortato dalle guardie federali della Casa Bianca dopo aver perso il mandato, oppure arrestato a Mar-a-lago o in una delle altre sue proprietà indubbiamente sputerebbe accuse e insulti mentre la nave affonda. Cercherebbe di distruggere mentre viene distrutto. Sarebbe la scena cruciale di tutta una vita, una battaglia rabbiosa per determinare chi è legittimato a emettere il giudizio finale contro chi. Il regime di Trump è destinato a finire così? Forse. La sua base elettorale è tutta presa dal dramma del sovrano spericolato, rappresentante definitivo del potere statale che vive pericolosamente al di fuori della legge. È una fuga maniacale, un thriller mitologico in cui il sovrano che dichiara la sua “grande incomparabile saggezza” minaccia la distruzione dell’economia turca giorni prima di scatenare turchi contro i curdi. La retorica sarebbe ridicola se le conseguenze non fossero così catastrofiche.

Nel migliore dei casi, unoa brula letale viene messa in scena man mano che il sovrano amplifica i suoi poteri di distruzione alla vigilia del suo smascheramento e della sua cattura legale. Continuando a sparare dichiarazioni retoriche che confermano tutto ciò di cui i suoi investigatori hanno bisogno per portar per rimuoverlo dalla presidenza, mentre rifiuta di aderire alle procedure prescritte, egli vuol dimostrare in modo maniacale chi è al di sopra al di fuori della legge proprio mentre offre tutti gli elementi per passare in giudizio. Una fine vergognosa è ciò che egli rigetta e sollecita allo stesso tempo: essere svergognato non è ciò che egli desidera eppure si muove in modo compulsivo in quella direzione. In questo caso la maniacalità prende la forma di un combattimento spietato, di una ricerca ossessiva dei propri nemici, di un’inflazione senza limiti della personalità, di messaggi armati sparati nel mondo con una salva di tweet giornalieri per andare avanti a tutti costi – perché cosa accadrebbe se si fermasse? È curioso che Trump possa essere colui che ci restituisce la legge proprio perché obbligato a fare i conti con la propria caduta? Diventerà forse, anche se solo con la propria uscita di scena, colui che ripristina la legge? Il prezzo che potrebbe pagare alla fine: la prigione e una vergogna infinita.
Ho solo offerto una specie di mia sequenza onirica. Potrebbe anche essere che vergogna e colpa abbiano colorato sottotraccia il suo sentire – chi può dirlo? La scommessa del mio sogno è che preferirebbe morire piuttosto che fermarsi a percepire la vergogna che lo attraversa e viene esternalizzata come distruzione e rabbia. Se mai in qualche momento percepisce qualcosa di vergognoso potrebbe accadere solo sulla soglia di quel brevissimo istante in cui la proietta all’esterno, la espelle nel mondo. Ma non può mai viverla come propria perché la sua struttura psichica è costruita per bloccarla: un compito smisurato. E se alla fine mai la vergogna lo raggiungesse per le regole del suo codice interno significherebbe la resa a una sottomissione suicida. Aspettatevi allora un lungo, altissimo ululato mentre lancia un’accusa estrema contro il mondo intero. Speriamo che a quel punto sia stato privato nel suo accesso al potere militare.
