Èsù al crocevia

Il contributo Yoruba a una esperienza decoloniale e postumana del Sé

Bayo Akomolafe

Wifredo Lam — Sombre Malembo, Dieu du carrefour -1943

In molte cosmologie africane, una dinamica di chiamata-e-risposta dialogica fa parte del modo in cui guardiamo il mondo. Nella musica yoruba, per esempio, è molto probabile che il cantante intoni i suoi versi all’interno di un’ecologia di molte altre voci che sostengono il suo canto, rispondono alle sue domande o enfatizzano una traccia o un testo che il cantante sta tentando di sviluppare. È qualcosa di molto diverso dal rapporto di dipendenza che una band ha con il suo cantante. L’agire musicale poggia su questa continua mediazione, particolarmente evidente nella musica juju e nell’highlife. A volte l’accompagnamento musicale sottostante passa in primo piano, in un rovesciamento della prospettiva che esprime un fluido rifiuto dei ruoli statici. Questo è il ritmo che impregna il nostro mondo.

Non è presente solo nella musica, ma anche nel modo in cui balliamo e nel modo in cui comunichiamo.  (…) Mi sono spesso accorto di essere più portato e più capace di eloquenza poetica quando parlo davanti a un pubblico che può mugolare la sua approvazione, o vocalizzare la sua presenza in un qualche modo.

Quando gli Yoruba rispondono con asé  [ashé]… aderiscono a questa modalità di chiamata-e-risposta ma includendo le cose stesse. Asé. solitamente parafrasato come il cristiano “Amen” o il “Così sia” dell’etimologia ebraica, è qualcosa di più di un assertivo voto di assenso. Nella tradizione Ifá è una filosofia che informa ogni cosa, che propizia il cambiamento, che motiva la terra a respirare e i cieli a vomitare pioggia. 

Alcuni studiosi definiscono l’asé come “un dar forma; una legge; un comando; un’autorità; un’ingiunzione; un’imposizione; un potere; un precetto; una disciplina; un’istruzione; un canone; un vincolo; un documento; una virtù; un effetto; una conseguenza; un’imprecazione”. Imhotep scrive che asé è una parola straordinariamente complessa, una parola polisemica che “non significa nulla di particolare, eppure investe tutte le cose, esiste ovunque come garanzia di ogni attività creativa”,  e suggerisce che il suo tema di fondo sia il “potere”.

In altre parole, asé è il suono dell’euforica “dimensione partecipativa” di tutte le cose. La tonalità dell’incontro. La premessa del cambiamento e la firma della speranza. È la cosmologia della via di mezzo, quella che suggerisce che il potere non sta né in questo né in quello, non si nasconde nelle forme della lingua e nemmeno in un lontano altrove. Il divino è disseminato in ogni cosa. Asé potrebbe benissimo allinearsi con la forza performativa della polvere.

Vale la pena di ricordare che asé è considerato la forza vitale custodita da Èsù, la divinità-trickster del pantheon Yoruba, che nell’abracadabra delle forzate e superficiali interpretazioni coloniali venne rapidamente equiparato a Satana, forma diabolica funzionale alla sete cristiana di dualità. Ma Èsù è qualcosa di più del diavolo e non deve essere sostituito da quel fantasma che infesta le nozioni cristiane di male incarnato, come dice bene Funso Aiyejina:

La definizione di Èsù rimasta nell’immaginario popolare euro-cristiana lo accusa di essere il diavolo/Satana. Questa definizione è stata elaborata dal vescovo Samuel Ajaiyi Crowther (1806-1891) che, nella sua pionieristica traduzione della Bibbia in yoruba, aveva scelto Èsù  come equivalente yoruba del Satana cristiano. In A Dictionary of the Yoruba Language, pubblicato nel 1913 dalla Church Missionary Society Bookshop di Lagos, in Nigeria, Èsù è stato tradotto con la parola diavolo, una definizione che verrà ripetuta, anche se accanto ad altre definizioni yoruba più tradizionali, nel Dictionary of Modern Yoruba della London University del 1958.

Aiyejina prosegue elencando l’incredibile lista di successi di Èsù, il suo curriculum cosmico.

Nella filosofia yoruba, Èsù emerge come trickster divino, artista del travestimento,mistificatore, un ribelle che sfida l’ortodossia, un mutaforma e una divinità esecutrice. Èsù, il custode dell’asé divina con cui Olodumare ha creato l’universo; una forza neutrale che gestisce l’equilibrio tra poteri soprannaturali benevoli e malevoli;  ilcustode dei responsi oracolari di Orunmila. Se Èsù non aprisse i portali del passato e del futuro, Orunmila, la divinità responsabile della divinazione, resterebbe cieca. In quanto forza neutrale, si colloca a cavallo di tutti i regni e agisce come fattore essenziale in ogni tentativo di risolvere i conflitti tra forze contrastanti e tuttavia contigue. Anche se a volte viene rappresentato come capriccioso, Èsù non si fa trascinare da alcuna emozione. Sostiene solo chi compie i sacrifici prescritti e dunque agisce in conformità con le leggi morali dell’universo stabilite da Olodumare. In quanto divinità dell’orita – una parola che viene spesso tradotta con crocevia, ma che in realtà è un termine più complesso che si riferisce anche al cortile di una casa, o al portale dei vari orifizi corporei – Èsù ha il compito di consegnare i sacrifici alle divinità a cui sondestinati. Gli Yoruba ritengono che, senza il suo intervento, nessun sacrificio, per quanto sontuoso, potrà essere efficace. Filosoficamente parlando, Èsù è la divinità della scelta e del libero arbitrio. Così, se Ogun è la divinità della guerra e della creatività. E Orunmila quella della saggezza. Èsù è la divinità della chiaroveggenza, dell’immaginazione e della critica – letteraria e non. Èsù, nel ruolo di trickster che scombina i fili del ripiglino da cui tutto emerge, è la personificazionedi asé. Èsù il Messaggero Divino tra Dio e l’uomo. Èsù siede al Crocevia. Èsù l’Orisha che offre scelte e possibilità, Èsù. il guardiano, il guardiano della soglia. Èsù salvaguarda il principio del libero arbitrio. Èsù il custode di asé.

Sono particolarmente felice di sapere che Èsù siede al crocevia, e dove altro potrebbe sedersi, in realtà? Se asé si articola come risposta, nell’enigmatico mezzo della realtà, nel frattempo che connette, allora il suo custode non potrà che essere un fenomeno del crocevia. E il fatto che Èsù si trovi proprio lì, al crocevia, mi sembra evocare un giocoso compagno concettuale: la nozione di diffrazione – quel fenomeno ottico che “perturba la nozione stessa di dicho-tomia – di ciò che resterebbe scisso– grazie a quel presunto atto singolare di differenziazione assoluta, che vorrebbe fratturare questo da quello, ora da allora”, come suggerisce Karen Barad. Questo concetto di diffrazione corrisponde a una nozione decoloniale di sé e di identità che Barad riprende citando Trinh Minh-ha:

l’identità così come viene intesa da una certa ideologia del dominio è stata a lungo una nozione fondata sull’idea di un nucleo essenziale e autentico nascosto alla coscienza, che richiede            l’eliminazione di tutto ciò che viene considerato estraneo o non fedele al sé cioè non-io, altro. In tale concezione l’altro, quasi inevitabilmente opposto all’io, sottomesso al dominio dell’io, è sempre condannato a restare la sua ombra, proprio mentre tenta di diventare suo pari. L’identità, così intesa, suppone che si possa tracciare una linea di demarcazione netta tra io e non-io, tra lui e lei; tra profondità e superficie, o tra identità verticali e orizzontali; tra noi qui e quegli altri laggiù.


Questo brano è tratto da Queste terre selvagge di là dallo steccato  di Bayo Akomolafe, a maggio in libreria per i tipi di Exòrma