Nel razzismo, i negri, gli ebrei, gli indios, i palestinesi, i rifugiati, gli zingari, i migranti sono stati di volta in volta effigie di un nodo storico (e pulsionale) irrisolto. Essi rappresentano un doppio perturbante, un testimone paradossale di ciò che non è visibile, in particolare dei cadaveri assenti, dei rifiuti umani, che la ancanza di sepoltura consegnaa una tomba vuota. Ma, in questo caso, la tomba vuota è un residuo spettrale e persecutorio non una promessa di resurrezione. In questa immensa tomba vuota, dire negro significa evocare tutti i cadaveri assenti di cui questo nome sarebbe un sostituto.

Ogni volta che evochiamo la parola “negro” facciamo riemergere alla luce del giorno tutti i rifiuti del nostro mondo, questa eccedenza la cui assenza nella tomba è insolita quanto terrificante [Mbembe, 2012, p. 86].

In quanto effigie dell’invisibile rimosso e dei morti senza sepoltura: Il negro è quel fuoco che illumina le cose della caverna, o ancora della tomba vuota che è il nostro mondo, quali esse sono realmente È il polo oscuro del mondo, come l’Ade omerica, il regno delle cose periture dove la vita umana è caratterizzata dalla sua precarietà e dalla sua estrema fragilità. È lo scandalo dell’umanità, il testimone vivente, senza dubbio il più inquietante, della violenza e dell’iniquità del nostro mondo [ivi].
art by kara walker
